di Paola PUOTI (Associato di Diritto internazionale nell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara) 1.
L’ultimo decennio dello scorso secolo, assieme agli importanti
mutamenti nella compagine sociale della comunità internazionale, ha
visto ritornare lo spettro della guerra in Europa, con il tragico
conflitto bosniaco, l’intervento militare e la catastrofe umanitaria in
Kosovo, l’instabilità dell’ex repubblica iugoslava di Macedonia. Gli
Stati dell’Europa occidentale appartenenti al sistema comunitario, come
tutti sanno, hanno proceduto in ordine sparso, sia prima
dell’istituzione dell’Unione europea ad opera del Trattato di Maastricht
del 1992, sia successivamente all’entrata in vigore di quest’ultimo.
Prima della creazione dell’UE, il prematuro e secondo molti incauto
riconoscimento da parte di alcuni dei Paesi della CE e poi di
quest’ultima, dell’indipendenza delle ex Repubbliche iugoslave di
Croazia e Slovenia ha fatto degenerare il processo pacifico di
secessione in vero e proprio smembramento dell’ex Repubblica socialista
che, a sua volta, ha prodotto i conflitti in Bosnia e Kosovo. Ancora, i
più recenti episodi di terrorismo dal 2001 in poi e soprattutto
l’intervento militare in Iraq del 2003 hanno mostrato al mondo un’Europa
divisa. Tutti ricorderanno che in quest’ultimo caso i due Stati europei
superpotenze nucleari e membri permanenti del Consiglio di sicurezza
dell’ONU, il Regno Unito e la Francia, avevano adottato posizioni
opposte sull’opportunità o meno di ricorso alla violenza bellica.
Come
valutare allora la Politica estera e di sicurezza comune (PESC) alla
luce di queste circostanze storiche? Come considerare positivamente
quella che avrebbe dovuto essere una importante realizzazione nel
cammino d’integrazione politica dell’Europa e che si era rivelata nei
fatti impossibile da realizzare, prima ancora che da gestire? A mio
avviso l’introduzione stessa di una opportunità di discussione comune
dei temi della politica estera e della sicurezza tra gli Stati
appartenenti all’UE costituisce di per sé una grande conquista di
civiltà da parte del processo d’integrazione europea. Il fatto di aver
introdotto la cooperazione in materia di affari esteri in questo
processo, sia pure tra quelle oggetto di cooperazione intergovernativa e
non ancora di vera integrazione giuridica va, nonostante tutto,
considerato positivamente nell’ottica di un processo che, partendo dal
basso, avanza seguendo l’unica politica possibile capace di mettere
assieme pezzi del complesso mosaico culturale, linguistico e politico
costituito dagli Stati europei: la politica dei piccoli passi.
2.
La PESC, nata a Maastricht nel 1992, viene affiancata prima timidamente
poi in modo sempre più aperto e deciso da una PESD che vede la luce con
il Trattato di Amsterdam – che inserisce le cd. missioni Petersberg – e
poi dal Trattato di Nizza che era riuscito ad introdurre nella PESC il
concetto di cooperazione rafforzata, escludendone però il settore della
difesa e delle azioni con implicazioni militari. Il grande progresso
della PESC, ma soprattutto di una vera e propria politica di sicurezza e
difesa comune (PSDC), come viene ribattezzata ora la PESD, è opera
soprattutto del Trattato del 2004, che finalmente afferma la personalità
giuridica dell’UE dandole così un unico volto verso l’esterno. In uno
spirito veramente costituzionale di avvio verso una forma di federalismo
europeo finalmente l’UE si sarebbe presentata come unico attore sulla
scena internazionale, dove spesso si raccolgono voci critiche
sull’impossibilità di individuare il giusto interlocutore nel complesso
gioco della ripartizione delle competenze tra Stati membri CE ed UE,
anche sul piano delle relazioni esterne e della politica estera, che
caratterizza oggi il sistema UE/CE.
La mancata ratifica del Trattato
costituzionale, non deve tuttavia ingannare, poiché il Trattato di
riforma mantiene molte, se non tutte, le novità che il Trattato di Roma
del 2004 conteneva in materia di PESC, risultando spogliato solo degli
aspetti più squisitamente formali della natura “costituzionale” del suo
predecessore. Infatti scompare dal testo del 2007 ogni riferimento ai
simboli dell’Unione, quali l’inno, la bandiera, il motto, la
denominazione formale degli atti giuridici (legge europea), e, per
l’appunto, la previsione di un Ministro degli affari esteri. Nella
sostanza tuttavia, importanti novità che già avevano caratterizzato il
Trattato costituzionale, come appunto il riconoscimento della
personalità giuridica dell’Unione, cui si accompagna l’istituzione
dell’UE e la scomparsa per incorporazione della CE, restano nel nuovo
testo. L’attuale Trattato di riforma innova quindi in modo importante il
settore della politica estera e di difesa europea. Le innovazioni sono
in parte consolidamento di prassi già avviate dopo l’entrata in vigore
delle modifiche di Nizza, in parte riprendono nella sostanza, anche se
non nella forma, le innovazioni introdotte dal Trattato del 2004. Vale
la pena di soffermarsi su alcune di esse per meglio comprenderne la
portata. Prima di esaminarle però occorre precisare che, a dispetto
delle modifiche formali che eliminano la CE e lasciano l’UE quale unico
soggetto dotato di personalità, la struttura a pilastri continua ad
esistere, tanto da far dubitare che la riforma porterà ad una unità di
struttura effettiva. Leggendo attentamente il testo dei due Trattati,
l’attuale TUE e il TCE ridenominato Trattato sul funzionamento dell’UE
(d’ora in poi TFUE) che per espressa disposizione hanno lo stesso valore
giuridico, mi sembra che di una vera e propria “unità di struttura” non
si possa ancora parlare, per il diverso posto che la politica estera e
di difesa occupa nell’economia dei Trattati rispetto agli altri settori
di competenza dell’UE: quello “comunitario” secondo l’accezione corrente
e quello costituito dall’attuale terzo pilastro. Questi ultimi due,
infatti, figurano ora, nel Trattato di revisione, quali settori oggetto
delle disposizioni dedicate alle competenze legislative rispettive di
Unione e Stati membri, mentre del tutto assente risulta la PESC quale
settore oggetto di competenze legislative. Il settore della politica
estera e di difesa resta invece confinato, quanto alla sua disciplina,
nel TUE, e non può quindi essere oggetto d’integrazione giuridica perché
non può essere disciplinato con atti legislativi, come risulta da
diverse disposizioni di quest’ultimo accordo. La riprova di quanto si
afferma può trovarsi nel fatto che nel Trattato di revisione è mantenuta
nel TUE la clausola generale di coerenza attualmente oggetto dell’art. 3
TUE. Di una clausola del genere non ci sarebbe bisogno se ci si
trovasse di fronte ad una struttura unitaria.
3. Lo scetticismo
di molti circa le reali possibilità di realizzazione di una vera e
propria politica estera comune europea deriva dalla prospettiva di
integrazione giuridica secondo il metodo “comunitario” dalla quale essi
si pongono. Per valutare correttamente i grandi progressi che la PESC ha
fatto registrare fino all’attuale trattato di revisione, occorre però
porsi da tutt’altro punto di vista, più realistico: la prospettiva
propria di ogni forma di cooperazione internazionale organizzata che si
basa sul principio fondamentale delle competenze attribuite, limitando
così la cessione di sovranità che ogni Stato membro di una
organizzazione internazionale è costretto a concedere al solo ed
esclusivo perseguimento di scopi ed interessi comuni. In altre parole,
la valutazione dei progressi in campo PESC si deve effettuare tenendo
presente il fatto ineluttabile che una vera e propria integrazione in
questa materia, ovvero una importante rinuncia alla sovranità da parte
degli Stati membri non sarà possibile né nel breve ma neppure, a mio
avviso, nel lungo termine, considerando del tutto im-probabile
l’eventualità che Stati come il Regno Unito o la Gran Bretagna si
convincano a rinunciare alle loro prerogative di membri permanenti del
Consiglio di sicurezza dell’ONU in favore dell’attribuzione, come da
qualcuno è stato prospettato, di un unico seggio all’UE in quel consesso
quale risultato di una riforma sostanziale dell’Organizzazione delle
Nazioni Unite. Quello che è stato e sarà possibile fare in materia di
cooperazione negli affari esteri e di difesa è di raccogliere di volta
in volta, e di fronte alle singole sfide che vengono dal mondo esterno,
il consenso necessario per il perseguimento di interessi comuni a tutti
gli Stati UE, come ampiamente ha dimostrato l’importante svolta che la
politica di sicurezza dell’Unione ha registrato a partire dai tragici
avvenimenti dell’11 settembre e delle successive ondate di azioni
terroristiche che hanno colpito anche Londra e Madrid. Mai come in
questo settore degli affari esteri vale come strumento di progressiva
integrazione la politica dei piccoli passi.
4. Una delle più
importanti acquisizioni del Trattato di riforma è costituita, a nostro
avviso, e nonostante le voci critiche di parte della dottrina, dalle
innovazioni che riguardano la figura dell’Alto Rappresentante PESC, che
permettono di affermare adesso l’Alto Rappresentante come un vero e
proprio protagonista della PESC, diventandone la guida, l’esecutore e la
voce dell’Unione all’esterno. La prima novità, del massimo rilievo,
riguarda la sua nomina e la sua provenienza. Attualmente l’Alto
rappresentante PESC ricopre anche la funzione di Segretario generale del
Consiglio mentre le relazioni esterne sono gestite da un membro della
Commissione, che oggi è l’austriaca Benita Ferrero Waldner. Attualmente
egli assiste la Presidenza che è oggi la guida della PESC in base
all’art. 18, par. 3 TUE. Secondo le modifiche del Trattato di riforma
che riprendono quelle del 2004, in base all’art. 9 E del TUE/2007,
l’Alto Rappresentante PESC sarà un membro della Commissione, ne
costituirà uno dei Vice Presidenti ma, a differenza di questi ultimi
(nominati dal Presidente della Commissione), sarà nominato dal Consiglio
europeo a maggioranza qualificata con l’accordo del Presidente della
Commissione, ed al tempo stesso sarà soggetto al voto di approvazione
del Parlamento europeo in quanto membro della Commissione. L’Alto
Rappresentante quindi diventa non solo un membro della Commissione,
conquista già notevole nella prospettiva dell’integrazione politica, ma
racchiude in sé tutti gli aspetti dell’azione esterna dell’UE, fondendo
nell’unicità della sua figura gli attuali incarichi di Alto
Rappresentante e di Commissario responsabile delle relazioni esterne
dell’UE.
A differenza dell’attuale situazione, che vede la PESC
guidata essenzialmente dalla Presidenza del Consiglio europeo in base
all’art. 18 TUE, peraltro semestrale e quindi estremamente variabile per
gli interlocutori esterni, in futuro, accanto ad una Presidenza più
stabile (riprendendo una modifica approvata nel Trattato di Roma del
2004, la Presidenza del Consiglio europeo sarà affidata ad un individuo
che potrà durare in carica due anni e mezzo rinnovabili una sola volta),
il maggior ruolo in materia di PESC sarà proprio dell’Alto
Rappresentante. Egli dovrà provvedere non solo a condurre la PESC (art. 9
E), ma a partecipare attivamente alla sua elaborazione, essendogli
riconosciuti poteri di proposta in quanto Presidente del Consiglio in
composizione Affari Esteri (art. 13 bis), in materia di elaborazione
della PESC, di misure sanzionatorie nei confronti di Stati terzi, in
materia di conclusione di accordi internazionali relativi alla PESC; e
infine assieme alla Commissione, per l’attuazione della clausola di
solidarietà civile che obbliga gli Stati membri ad assistere su espressa
richiesta chi di essi sia stato colpito da un attacco terroristico o da
una catastrofe. L’Alto Rappresentante è inoltre tenuto a provvedere
alla sua esecuzione, quale mandatario del Consiglio. Inoltre egli
rappresenterà l’UE all’esterno nelle materie PESC e condurrà il dialogo
politico con i terzi esprimendo le posizioni dell’Unione in seno alle
organizzazioni e alle conferenze internazionali. Sarà anche suo compito
vegliare sulla coerenza dell’azione esterna degli Stati membri secondo
il principio di leale cooperazione con l’Unione, vegliando affinché
questi ultimi rispettino l’obbligo di appoggiare la PESC e di astenersi
da azioni contrarie agli interessi dell’UE.
5. Inizialmente la
PESD entra timidamente nel TUE con le modifiche del Trattato di
Amsterdam che introduce sia una procedura di revisione semplificata
all’art. 17 per permettere di arrivare progressivamente da una politica
di difesa comune ad una difesa comune vera e propria e che inserisce la
possibilità di effettuare operazioni di peacekeeping di natura non
offensiva: le “missioni di Petersberg” nel TUE. Tuttavia non si riesce,
in quella sede, né ad approvare una clausola di legittima difesa
collettiva sul modello di quelle contenute nei trattati UEO e NATO, né a
chiarire i rapporti UE-NATO e, di conseguenza UE-UEO. L’e-sigenza di
una politica europea di difesa dell’Unione è stata rilanciata dalla
Dichiarazione adottata al termine del vertice franco-britannico di Saint
Malo nel 1998 e dai Consigli europei di Colonia del giugno1999, di
Helsinki del dicembre 1999 e di Feira del giugno 2000, ai quali si deve
la sua effettiva creazione e messa in atto, successivamente formalizzata
dall’entrata in vigore del Trattato di Nizza. Essa ha subìto una
notevole accelerazione nella sua concreta realizzazione dopo i tragici
attacchi terroristici dell’11 settembre, a partire dal 2003, anno di
adozione di una Strategia europea in materia di sicurezza. Sono stati
creati organi e strutture in grado di dar forma ad una vera e propria
politica comune nel settore della sicurezza e della difesa. Ricordiamo
che in virtù delle Conclusioni del Consiglio europeo di Colonia, ma
soprattutto di Helsinki del 1999, sono stati ideati un Comitato politico
e di sicurezza (COPS), un Comitato militare, uno Stato maggiore della
difesa europeo e un Comitato dei Contributori (CC). Più di recente sono
state create un’Agenzia europea per la difesa e una Cellula di
pianificazione civile-militare allo scopo di realizzare un’azione
esterna più efficace e coerente. Sono stati trasferiti all’UE importanti
strutture dell’UEO quali l’Istituto di studi sulla sicurezza e il
Centro satellitare di Torrejòn. Inoltre, sempre sulla base di
Conclusioni del Consiglio europeo adottate a Feira nel 2000, sono stati
conclusi dall’Alto Rappresentante PESC dell’UE con la NATO i cosiddetti
“Berlin plus agreements” che danno vita ad un partenariato ed una
cooperazione strategica tra UE e NATO. Il Trattato costituzionale riesce
nell’intento di inserire una clausola di solidarietà, ovvero di
legittima difesa collettiva, nel TUE, rendendo così ormai quasi del
tutto superfluo il permanere in vita del Trattato UEO.
Il Trattato
di riforma non rimette in discussione quanto già approvato a Roma nel
2004, limitandosi a confermare e migliorare le disposizioni relative
alla PSDC, ispirandosi alla Strategia europea per la sicurezza, dottrina
elaborata nel 2003, ed estendendo di conseguenza il ventaglio di
missioni che l’UE può porre in essere nel settore della sicurezza e
della difesa, dalle classiche missioni di Petersberg alla possibilità di
veri e propri interventi di disarmo, di assistenza militare e di lotta
al terrorismo. Il Trattato di riforma provvede inoltre a disciplinare in
modo dettagliato la possibilità per l’UE di autorizzare un gruppo di
Stati a condurre azioni militari (art. 29 del TUE/2007) e quella, ben
più importante ed interessante, di dar vita ad una forma di cooperazione
strutturata permanente (artt. 27, par. 6, e 31 del TUE/2007, nonché
Protocollo n. 4 sulla “Cooperazione strutturata permanente istituita
dall’articolo 27 del TUE”), che altro non è se non un embrione di un
vero e proprio sistema di sicurezza collettiva. Si offre cioè la
possibilità a quegli Stati membri che abbiano i requisiti previsti dal
Protocollo (capacità tecniche, logistiche e operative più forti e
disponibilità a condividerle con altri Stati) di realizzare un vero e
proprio esercito europeo capace di far fronte a situazioni di crisi
internazionali anche con l’uso della forza, ovviamente se autorizzato
dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Si può quindi parlare già adesso,
prima ancora che entri in vigore la versione modificata dei Trattati,
della creazione di una vera e propria Politica di sicurezza e di difesa
comune, avvenuta soprattutto, come si è visto, mediante Conclusioni del
Consiglio europeo. Il Trattato di riforma non farà altro che dar veste
ufficiale a ciò che già esiste.